Primavera
1992, le Spice Girls ancora non hanno iniziato il loro cammino musicale, ma in
Formula 1, dodici anni dopo gli ultimi tentativi di Desiré Wilson, torna a
vedersi una presenza femminile. Giovanna Amati, 32enne capitolina figlia di un
industriale cinematografico, un onorevole passato in formula 3 e formula 3000 e
parecchi titoli sui giornali a fine anni ’70 per essere stata vittima di un
rapimento turbolento, si accasa alla Brabham. La scuderia anglo-australiana,
però, è solo la pallidissima parente di quella che fino a metà anni ’80 lottava
per i piani alti della classifica. Passata dalle mani di Ecclestone a quelle
(non proprio pulite) dello svizzero Luhti, la squadra è rientrata in gioco
nell’89 raccogliendo subito buoni piazzamenti, ma senza ripetersi nelle
stagioni successive. Anzi, chiuso il fallimentare rapporto con la Yamaha, la
Brabham è in serissime difficoltà economiche, così punta sulla Amati nella
speranza di risollevare le proprie sorti attraendo qualche sponsor. Finirà malissimo.
La squadra rimedia dei motori Judd tanto vecchi quanto asfittici e anche
l’altro pilota Van De Poele faticherà non poco a qualificarsi sporadicamente.
Giovanna Amati si impegna, ma la situazione è al limite del collasso, così
l’avventura dura solo tre gare, ovvero tre mancate qualificazioni, con un
distacco medio di 4.614 secondi dall’ultimo dei qualificati. Poca roba,
pochissima. Tuttavia, gli ultimi respiri dell’agonizzante Brabham lanceranno in
F.1 nientemeno che Damon Hill, miracolosamente qualificatosi in Inghilterra ed
Ungheria con una vettura ridipinta in uno stile tanto agghiacciante quanto
funzionale ad accogliere l’accozzaglia di sponsor che le permise di agonizzare
fino a metà agosto. Dal canto suo, Giovanna Amati continuò a gareggiare fino agli
ultimi anni ’90, riuscendo a cogliere addirittura un terzo posto di classe nel
campionato internazionale prototipi 1999.

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