Ogni stagione ha un motivo per essere ricordata, sia essa bella o brutta. Ogni annata ha delle caratteristiche, degli avvenimenti, delle novità che la rendono unica, inimitabile ed indimenticabile per i tifosi e per chi l’ha vissuta con intensità e soprattutto, meritevole di essere raccontata. Oggi, ad esempio, vogliamo parlarvi del 1987, ultima stagione vissuta nella sua interezza dal Drake Enzo Ferrari.
Lo scenario. Dopo la grande abbuffata
data dalla presenza di tantissimi costruttori, come sempre accade in questi
casi, a fine ’86 la F.1 si trova alle prese con una drammatica fuga da parte
delle grandi case, sopraffatte dai costi troppo elevati. In previsione di ciò,
malgrado i motori aspirati fossero stati aboliti a fine ’85 a favore del
tutto-turbo, si decise di riammetterli con cilindrata maggiorata a 3500cc nella
speranza di attrarre nuovi costruttori di motori e di telai. Come ulteriore
incentivo, la FIA istituì addirittura un trofeo intitolato a Jim Clark per i
piloti ed a Colin Chapman per i costruttori con vetture aspirate. Solo 5
vetture gareggiarono stabilmente con motori atmosferici (due Tyrrell, una AGS,
una Lola ed una March), conquistando anche diversi piazzamenti in ragione
dell’affidabilità ottima del Cosworth, ma non delle prestazioni, ancora troppo
distanti da quelle dei motori turbo, malgrado per questi ultimi fosse stata
decisa la riduzione delle pressione mediante l’adozione di una valvola wate-gate
comune a tutti e fornita dalla FIA. Tra le squadre principali, confermata in
toto l’equipe Williams, la McLaren (per l’ultima volta coi motori TAG-Porsche)
prese Johansson dalla Ferrari, che lo sostituì con Berger proveniente dalla
Benetton. Quest’ultima, orfana dei motori BMW, riuscì a garantirsi i turbo Ford
e affiancò Boutsen al confermato Fabi. La Lotus, passata dal motore Renault a
quello Honda e dallo sponsor JPS a Camel, per il secondo anno consecutivo
affiancò al caposquadra Senna un pilota di modeste possibilità, facendo
debuttare il giapponese Satoru Nakajima.
Il campionato. La stagione visse sostanzialmente
sulla lotta tra i fratelli-coltelli della Williams, Mansell e Piquet, oltre a Senna
e un Prost in affanno con una McLaren giunta al limite dello sviluppo del
telaio MP4 e del motore TAG-Porsche, peraltro all’ultima stagione di corse. La
conclusione della lotta si ebbe con un GP di anticipo, quando Mansell si
schiantò duramente nelle prove libere di Suzuka infortunandosi alla schiena e
dovendo rinunciare così alle ultime due gare. In questo modo Piquet, unico
rivale ancora in lizza, poté conquistare il suo terzo titolo indisturbato.
Grande assente la Ferrari, protagonista di un avvio stentato e poi di una fase
centrale di stagione assolutamente disastrosa, in cui per 5 GP consecutivi non
è riuscita a portare una sola vettura al traguardo, ma risorta nel finale
grazie a due vittorie di Berger in Giappone ed Australia (qui con Alboreto
secondo) e 27 punti conquistati (su 53 totali) nelle ultime due gare. Il trofeo
Clark fu vinto da Jonathan Palmer, mentre la sua Tyrrell, che grazie anche
all’altro pilota Streiff conquistò dieci vittorie di classe, conquistò
largamente il trofeo Chapman costruttori.
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| Nelson Piquet su Williams, vinse il campionato piloti |
La tecnica. Detto del ritorno
dell’aspirato, la stagione mise in evidenza una nuova tendenza nella
progettazione dell’anteriore delle vetture. Per quanto ancora robuste nella
parte centrale, le vetture furono infatti assottigliate, assumendo un musetto
sempre più a punta eliminando così le forme tondeggianti degli anni precedenti.
L’unica vettura che conservò un muso squadrato e possente fu l’ormai vetusta
McLaren. Dal fronte pneumatici, si registrò il ritiro della Pirelli, che lasciò
alla Goodyear il monopolio di fatto per la fornitura delle gomme. Da segnalare
una novità importantissima da parte della Lotus, ossia l’introduzione di un
sistema “attivo” di sospensioni ancora rudimentale e poco affidabile, ma che fu
il primo tentativo di portare un’innovazione che negli anni successivi sarebbe
diventata standard, come dimostrò il fatto stesso che anche la Williams
presentò un sistema sviluppato in proprio dal GP d’Italia in poi. Curiosamente,
due costruttori storici come Lola e March, decisero di presentarsi al via del
mondiale con due vetture di F.3000 adattate ai regolamenti ed alle esigenze
della F.1.
L’Alfa fuggiasca. Ritiratasi
ufficialmente alla fine del fallimentare ’85, l’Alfa Romeo aveva continuato a
gareggiare grazie al Team Osella, che continuava ad utilizzare privatamente i
motori del biscione, per quanto fossero ormai obsoleti, inaffidabili, poco
potenti e, soprattutto, malgrado i ricambi a disposizione fossero sempre meno e
sempre più logori. A fine ’86 la casa di Arese annunciò il proprio ritorno in
pista con un’unità aspirata affidata alla Ligier. I test precampionato si
rivelarono problematici e deludenti ed Arnoux, pilota designato assieme a
Ghinzani, si lasciò andare a dichiarazioni poco lusinghiere sul motore e
sull’impegno della casa, che furono utilizzate come pretesto dai nuovi vertici
della casa italiana per ritirarsi di punto in bianco e lasciare la squadra
francese in braghe di tela, costringendola a saltare il primo GP ed adattare
frettolosamente la vettura ai motori Megatron. La realtà sul ritiro però era
diversa. L’Alfa, in serie difficoltà, era passata nelle mani del Gruppo Fiat, il
quale aveva già la Ferrari in F.1, e non aveva interesse a farsi da sola
concorrenza sportiva (e negli investimenti) e pensò bene di cogliere la palla
al balzo per cavarsi d’impaccio annullando il contratto seduta stante.
Wild wild card. Da quando era stata resa obbligatoria l’iscrizione a tutto il
campionato, le presenza occasionali al via erano drasticamente diminuite, ma
non scomparse. Il 1987 fu l’ultimo anno in cui si videro allineate ai nastri di
partenza quelle che sarebbero state solo successivamente denominate “wild
card”. Nessuna delle squadre di primo piano sfruttò l’opzione, mentre furono
parecchie scuderie di seconda e terza fascia che pensarono di rinfoltire
occasionalmente i ranghi. L’Osella, che schierava il solo Caffi, approfittò
della gara di Imola per tirare fuori dal garage una seconda vettura vecchissima
e lanciare nella mischia Gabriele Tarquini, mentre a Monza, Estoril e Jerez la
seconda guida della squadra fu lo svizzero Franco Forini. La Larrousse, che
schierava una vettura Lola, affiancò ad Alliot il promettente francese Dalmas
per le ultime tre gare, mentre la Coloni debuttò con una vettura per Larini nei
soli GP d’Italia e Spagna. Peggio andò alla Trussardi F.1, che non potè
gareggiare nei previsti ultimi 6 GP in quanto di fatto era una Benetton gestita
privatamente.
The Backmarker
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