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| Ultimo modello di Honda NSR 500, con cui Valentino Rossi vinse l'ultimo motomondiale classe 500 |
Ogni
stagione ha un motivo per essere
ricordata, sia essa bella o brutta. Ogni annata ha delle caratteristiche, degli
avvenimenti, delle novità che la rendono unica, inimitabile ed indimenticabile
per i tifosi e per chi l’ha vissuta con intensità e soprattutto, meritevole di
essere raccontata. Oggi vi parleremo della stagione 2001 della classe 500,
l’ultima della storia di questa cilindrata.
Lo scenario. Il 2001 è stato l’ultimo
anno di vita della classe 500 per cui, in preparazione all’avvento della
MotoGP, l’Aprilia preferì lasciare per un anno e dedicarsi al progetto della
nuova RS Cube per la categoria nascente. Per contro, la Honda presentò
un’ulteriore evoluzione della fortunata NSR che però fu assegnata ai soli
Rossi, Criville e Ukawa, mentre i due alfieri di Pons, Barros e Capirossi,
oltre a Chris Walker per il team Shell, poterono contare sulla moto dell’anno
prima. La Yamaha schierò invece ben 8 moto affidate a 4 team, provocando le ire
di Biaggi, spaventato dall’imponenza dell’impegno della casa dei tre diapason e
dal dubbio che la stessa non fosse in grado di gestire la situazione a dovere.
Poco da segnalare per la Suzuki, se non la sostituzione di Aoki con Gibernau. La
KR3 subì l’ennesimo cambio di nome passando da Modenas a Proton. In qualche GP
si vide anche la Paton, ma senza risultati degni di nota, mentre il resto del
roster fu completato da provati in sella alle Honda V2 e dalle antiquate Sabre
e Pulse.
Il campionato. Come previsto, l’intera
stagione fu incentrata sul duello tra Rossi e Biaggi, con Capirossi primo
spettatore e Barros quarto incomodo occasionale. Gli italiani riuscirono a
vincere 14 GP su 16, conquistando anche tutte le pole meno l’ultima a Rio.
Nelle prime gare, il mondiale sembrava aver preso una precisa direzione, con
tre vittorie di Rossi e Biaggi impelagato nei problemi della sua Yamaha, ma tra
Le Mans e il Mugello, con Rossi terzo e poi caduto nel nubifragio, il romano
riuscì, grazie ad una vittoria ed un terzo posto, a ridurre drasticamente lo
svantaggio. Biaggi tenne botta fino alla pausa estiva, alternandosi al primo
posto con Rossi ed approfittando di una brutta prestazione di quest’ultimo al
Sachsenring per portarsi a soli dieci punti dal leader. Con la fine dell’estate,
però, il romano incappò in una serie incredibile di errori, cadendo a Brno ed
Estoril, per rimettersi in sella attardato e recuperare qualche punto, oltre
che a Motegi e Sepang, dove fu costretto al ritiro. In mezzo, un decimo posto a
Valencia con Rossi (che aveva vinto le altre gare citate) a ruota. La conquista
definitiva dell’ultimo alloro da parte del centauro di Tavullia avvenne in
Australia, battendo in volata proprio Biaggi. Nell’ultima gara di Rio de
Janeiro, disputata in due manche per somma di tempi a causa della pioggia,
Rossi riuscì a strappare l’undicesima vittoria della sua stagione trionfale,
battendo Checa solo nella classifica combinata per poco più di un decimo,
grazie all’involontario aiuto del doppiato West che aveva leggermente ostacolato
lo spagnolo.
La tecnica. L’ultimo anno delle 500,
come tutte le stagioni poste alla vigilia di un grande cambiamento, fu
caratterizzato da un parziale disinteresse delle case, già tese con gli sforzi
verso l’annata successiva. Detto della Honda, unica a presentare una moto sensibilmente
evoluta, il pallino delle curiosità tecniche passò ai privati o ai costruttori
“artigianali”. Messa in commercio nel 1996, la Honda V2 doveva raccogliere la
lunga eredità della NS, moto semplice ed economica da gestire, vera miniera
d’oro per i privati degli anni ’80. In realtà, a parte lo sviluppo del mezzo
ufficiale del team Repsol, la casa madre non curò mai l’evoluzione delle moto
vendute ai privati, lasciando campo libero all’estro di preparatori e telaisti
di vario genere. Non a caso l’unica “vera” Honda V2 al via fu quella di Leon
Haslam (poi affiancato da Brendan Clarke), mentre West e Veneman si schierarono
con un mezzo su telaio costruito dallo specialista olandese Nikko Bakker, e
Haruchika Aoki aveva una TSR che di Honda aveva solo il motore. Nel
contempo,con la speranza di creare un mezzo più competitivo, il Team Sabre si
presentò al via con una vecchia ROC Yamaha del ’94 (!!!), opportunamente
rinominata, ridipinta e vagamente evoluta. Dal canto suo, il team Pulse puntò
sul restyling e il cambio di nome di una MuZ del ’98-’99, che poi altro non era
che la Elf del ’96-’97, che in realtà era l’evoluzione sostanziale della Elf
’95, ossia una ROC Yamaha del ’94!.
L’Aprilia mai nata. Dal ‘94 al 1997
l’Aprilia aveva gareggiato nella classe regina inseguendo un’idea utopica del
progettista Jan Witteveen, schierando una 250 maggiorata a 400, potendo contare
su una migliore gestione della potenza (comunque nettamente inferiore alla
concorrenza) e su un peso ridotto per inserirsi nella lotta al vertice. Risolti
gli iniziali problemi di affidabilità, la moto restò nel limbo di metà
classifica non potendo recuperare in alcun modo i cavalli mancanti, essendo
arrivato al limite di maggiorazione il motore. Preso atto dell’impossibilità di
evolvere ulteriormente il mezzo, e constatata la maggiore competitività la casa di Noale pensò di ritirarsi
temporaneamente nel ’98 per riproporre la bicilindrica, stavolta a cilindrata
piena, nel biennio ’99-’00. Malgrado le prestazioni migliori e qualche podio
condito da pole position occasionali, il gap di potenza si rivelò incolmabile e
l’Aprilia decise di acquistare da Rolf Biland una Muz Weber 500 del ’99 per
cominciare a lavorare sul progetto di una 4 cilindri. Detto nelle righe
precedenti dell’incredibile storia di questa moto, il mezzo venne subito
ridipinto nei colori factory e poi scandagliato al microscopio per studiarne
ogni dettaglio prima di procedere con la costruzione di un mezzo “autoctono”.
La decisione della FIM di creare la MotoGP e imporre l’abbandono delle moto a
due tempi a partire dal 2002 stroncò sul nascere il progetto, in quanto non
avrebbe avuto senso spendere soldi per evolvere una moto con al massimo una
stagione di corse da disputare. La casa italiana a quel punto spostò le risorse
sul progetto RS Cube, che parzialmente riprendeva il concetto di minor peso e
potenza ma maggiore guidabilità della bicilindrica. La storia della V4 rimase nascosta
per qualche tempo, fino a quando "Motociclismo" non ebbe la possibilità di
entrare nel reparto corse Aprilia e svelare il segreto, rivelando l’esistenza
di una moto che non ha mai girato in pista e che non sapremo mai se e quanto
avrebbe potuto essere competitiva.


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